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Regesto

Art. 140, 141 e 269 CPP; utilizzabilità dei mezzi di prova raccolti in seguito a una sorveglianza segreta del cellulare ricevuto e utilizzato in maniera illegale durante la detenzione da un imputato.
Un "inganno" ai sensi dell'art. 140 CPP sussiste in particolare quando una persona è scientemente indotta in errore dall'autorità. Il limite tra un "inganno vietato" e una "astuzia ancora ammissibile" dev'essere valutato secondo le circostanze, in particolare riguardo all'influenza esercitata dal comportamento dell'autorità sulla libera volontà dell'interessato. In ogni caso, durante la carcerazione è inammissibile collocare in cella cimici o installare segretamente altri mezzi di ascolto/registrazione nelle sale delle visite o negli spazi d'incontro tra il detenuto e il suo difensore (consid. 4.2).
Nella fattispecie, non vi è stato un comportamento contrario alla buona fede da parte delle autorità penali, visto ch'esse si sono limitate - senza alcun comportamento attivo - a lasciar credere all'imputato ch'egli sarebbe riuscito a ingannarle e a raggirare le regole in materia di possesso e utilizzazione di un telefono cellulare in prigione. Le autorità nemmeno hanno esercitato pressioni o influenzato le conversazioni dell'imputato (consid. 4.3).

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referenza

Articolo: Art. 140, 141 e 269 CPP, art. 140 CPP