1S.14/2005 25.04.2005
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Tribunale federale 
Tribunal federal 
 
{T 0/2} 
1S.14/2005 /viz 
 
Sentenza del 25 aprile 2005 
I Corte di diritto pubblico 
 
Composizione 
Giudici federali Féraud, presidente, 
Aemisegger, Eusebio, 
cancelliere Crameri. 
 
Parti 
C.________, attualmente in carcere preventivo, 
ricorrente, patrocinato dall'avv. Yasar Ravi, 
contro 
 
Ministero pubblico della Confederazione, 
sede distaccata Lugano, via Sorengo 7, casella postale, 6900 Lugano 3. 
 
Oggetto 
domanda di scarcerazione, 
 
ricorso contro la sentenza emanata il 28 febbraio 2005 dalla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale. 
 
Fatti: 
A. 
Il 23 novembre 2004 C.________ è stato arrestato nell'ambito di un'inchiesta aperta nei confronti suoi e di altre persone dalla polizia giudiziaria federale per infrazione alla legge federale sugli stupefacenti (art. 19 n. 1 e 2 LStup), per partecipazione a un'organizzazione criminale (art. 260ter CP) e per riciclaggio (art. 305bis CP); è stato posto immediatamente in detenzione preventiva. Il 25 novembre 2004 il giudice istruttore federale, accertata l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e ritenuta l'esistenza dei pericoli di collusione e di fuga, ha convalidato l'arresto. 
B. 
Il 29 novembre 2004 il detenuto è insorto contro l'ordinanza di conferma dell'arresto dinanzi alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale. Egli criticava, tra l'altro, l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e dei pericoli di collusione e di fuga. Con decisione del 14 dicembre 2004 la Corte dei reclami penali ha respinto il reclamo. Un ricorso presentato dal detenuto contro questo giudizio è stato respinto, in quanto ammissibile, dal Tribunale federale con sentenza del 7 febbraio 2005 (causa 1S.3/2005). 
C. 
Nel frattempo, il 31 dicembre 2004, l'interessato aveva chiesto al Ministero pubblico della Confederazione (MPC) di essere messo in libertà provvisoria. Con decisione del 4 gennaio 2005 il MPC ha respinto la domanda di scarcerazione. La Corte dei reclami penali, adita dal detenuto, ne ha respinto il reclamo con sentenza del 28 febbraio 2005. 
D. 
C.________ impugna questa pronunzia con un ricorso del 24 marzo 2005 al Tribunale federale. Chiede, in via preliminare, di accordargli il beneficio del gratuito patrocinio e dell'assistenza giudiziaria e, in via principale, di scarcerarlo immediatamente; in via subordinata, postula di adottare una misura sostitutiva della carcerazione. Dei motivi si dirà, in quanto necessario, nei considerandi. 
La Corte dei reclami penali, riconfermandosi nella sua sentenza, propone, come il MPC, di respingere il ricorso in quanto ammissibile. 
Con scritto del 20 aprile 2005 il ricorrente sostiene di non aver avuto accesso a parte dei verbali di audizione richiamati dal Ministero pubblico nelle sue osservazioni; ne chiede lo stralcio o, in ossequio al diritto di essere sentito, di potersi esprimere al riguardo. 
 
Diritto: 
1. 
1.1 Secondo l'art. 33 cpv. 3 lett. a della legge sul Tribunale penale federale, del 4 ottobre 2002 (LTPF; RS 173.71), fino all'entrata in vigore della revisione totale dell'OG, le decisioni della Corte dei reclami penali concernenti misure coercitive sono impugnabili mediante ricorso al Tribunale federale, entro 30 giorni dalla notifica, per violazione del diritto federale; la procedura è retta dagli art. 214-216, 218 e 219 PP, applicabili per analogia (cfr. DTF 130 I 234 consid. 2.1, 130 II 306 consid. 1.2). 
1.2 La decisione con la quale la Corte dei reclami penali conferma il mantenimento della detenzione preventiva, ordinata per i bisogni di una procedura penale condotta dal MPC, costituisce una misura coercitiva impugnabile dinanzi alla I Corte di diritto pubblico del Tribunale federale (art. 2 cpv. 1 cifra 4 del regolamento del Tribunale federale, secondo la modifica del 23 marzo 2004). Il ricorso, diretto contro il mantenimento della detenzione preventiva, è quindi ammissibile (causa 1S.10/2004 dell'11 novembre 2004, consid. 1.2.2, destinata a pubblicazione in DTF 131 I xxx; cfr. DTF 130 II 306 consid. 1.2.2). 
1.3 Il ricorso ricalca in gran misura quello già esaminato dal Tribunale federale, respinto in quanto ammissibile con sentenza del 7 febbraio 2005. La fattispecie oggetto della procedura in esame è fondata in effetti sulla domanda di scarcerazione del 31 dicembre 2004, successiva alla decisione del 14 dicembre 2004 della Corte dei reclami penali, ma anteriore alla citata sentenza del Tribunale federale. 
Il ricorrente dove preliminarmente si esprime su procedure e censure diverse, le mischia e le confonde. Egli sostiene infatti che nella decisione del 7 febbraio 2005 il Tribunale federale avrebbe ritenuto a torto ch'egli, criticando l'asserito mancato accesso agli atti, non ha presentato una siffatta istanza (consid. 1.4.2). La critica è destituita di fondamento. Egli non aveva in effetti addotto d'aver presentato una tale istanza, né il Tribunale federale, contrariamente all'assunto ricorsuale, doveva esaminare d'ufficio tale questione che, come si vedrà, esulava peraltro dall'oggetto del litigio. Per di più, le domande d'accesso agli atti richiamate dal ricorrente sono state inoltrate al MPC soltanto il 21 dicembre 2004 e il 17 gennaio 2005 e sono quindi posteriori alla decisione della Corte dei reclami penali, del 14 dicembre 2004, oggetto del giudizio del Tribunale federale. 
1.4 Inoltre, come noto al patrocinatore del ricorrente, il Tribunale federale, pronunciandosi sul mantenimento della detenzione preventiva, ha stabilito che il ricorso non è ammissibile nella misura in cui l'insorgente fa valere d'essere stato privato del diritto di consultare l'incarto della procedura: questa censura, fondata sull'asserita violazione dei diritti della difesa, esula in effetti dall'oggetto del litigio deferibile davanti a questo tribunale, dovendo essere trattata dalla Corte dei reclami penali (sentenza del 7 febbraio 2005, consid. 1.4.2 e rinvii). Le relative critiche ricorsuali sono pertanto inammissibili. Per gli stessi motivi, la censura secondo cui l'asserito ascolto dei colloqui tra il ricorrente e il suo legale costituirebbe una grave ingerenza nei diritti della difesa, come le critiche concernenti le modalità degli interrogatori e i suoi trasferimenti in altri stabilimenti carcerari, sono irricevibili. Infine, pure l'accenno secondo cui la Corte dei reclami penali sarebbe venuta meno alle sue funzioni di autorità di reclamo e di vigilanza esula dall'oggetto del litigio. La critica del ricorrente di non aver avuto conoscenza dei verbali prodotti dal Ministero pubblico nelle sue osservazioni non dev'essere pertanto esaminata oltre, ritenuto che detti atti non sono posti a fondamento del presente giudizio. 
2. 
2.1 Il ricorrente fa valere un'errata applicazione dell'art. 51 cpv. 2 PP, secondo cui il giudice istruttore, se intende mantenere oltre 14 giorni il carcere preventivo ordinato in applicazione dell'art. 44 n. 2 PP, che vuole prevenire il pericolo di collusione, deve presentare, prima della scadenza di questo termine, alla Corte dei reclami penali la richiesta di proroga dell'arresto. Ciò non è avvenuto nella fattispecie. Secondo il ricorrente, una siffatta istanza dovrebbe essere inoltrata anche quando sussiste un pericolo di fuga. La Corte dei reclami penali, richiamando la propria prassi, ha rilevato che, in presenza di un pericolo di fuga, l'obbligo di dover presentare una tale richiesta per l'esistenza di un concomitante pericolo di collusione costituirebbe un puro esercizio formale, privo di ogni interesse attuale e pratico. 
2.2 La tesi ricorsuale non regge. Ricordato che il richiamo dell'art. 51 cpv. 2 PP si riferisce soltanto al secondo capoverso dell'art. 44 PP (pericolo di collusione) e non al suo primo capoverso (pericolo di fuga), il ricorrente disattende che l'art. 51 cpv. 3 PP prevede espressamente che questa norma si applica anche nelle procedura delle indagini per ogni carcere preventivo ordinato "esclusivamente" a causa di pericolo di collusione. Quando il testo di legge è chiaro, come nella fattispecie, ritenuto che la norma litigiosa si riferisce espressamente soltanto al pericolo di collusione, l'autorità chiamata ad applicare il diritto può distanziarsene soltanto se sussistono motivi fondati per ritenere che la formulazione della norma non rispecchi completamente il suo vero senso. Simili motivi possono risultare dai materiali legislativi, dallo scopo della norma, come pure dalla relazione tra quest'ultima e altre disposizioni (DTF 129 I 12 consid. 3.3, 128 II 56 consid. 4, 66 consid. 4a, 128 I 34 consid. 3b, 126 II 71 consid. 6d pag. 80 seg.). 
2.3 Il MPC ha giustificato il rifiuto della scarcerazione fondandosi sull'esistenza sia del pericolo di collusione sia di fuga, adducendo inoltre, nelle osservazioni al gravame, quello di recidiva. Ora, dal messaggio sulla modifica del CP, della PP e del DPA del 28 gennaio 1998, richiamato dal ricorrente, non si evince nulla a sostegno della sua tesi. Nello stesso è ribadito soltanto che l'esigenza della richiesta di proroga, in ogni arresto ordinato a causa del pericolo di collusione, vale anche nell'ambito delle indagini (FF 1998 II 1095, in particolare 1121 all'art. 51 cpv. 2 e 3 PP; cfr. anche DTF 120 IV 342 consid. 3a-c, nel cui contesto l'arresto si fondava soltanto sul pericolo di collusione, quello fondato sul pericolo di fuga essendo stato lasciato espressamente aperto). Nella sentenza G.28/2002 del 4 aprile 2002, invocata dal ricorrente, la Camera d'accusa aveva stabilito che quando il MPC fonda la propria richiesta sul pericolo di collusione, menzionando solo di transenna quello di fuga, quest'ultimo argomento non doveva essere esaminato, visto ch'essa era competente a pronunciarsi soltanto sulla proroga della detenzione per il pericolo di collusione; in presenza di un pericolo di fuga secondo l'art. 44 n. 1 PP, il MPC doveva procedere conformemente all'art. 47 PP (consid. 3; vedi al riguardo Giusep Nay, in: Basler Kommentar StGB, vol. II, Basilea 2003, n. 36 all'art. 340 CP). 
Nella dottrina si sottolinea che l'esame obbligatorio e automatico da parte dell'allora Camera di accusa, ora sostituita dalla Corte dei reclami penali, avviene soltanto nei casi ove si è esclusivamente in presenza di un pericolo di collusione. Qualora sia riconosciuto anche un pericolo di fuga, la carcerazione non necessita di una proroga da parte del giudice dopo 14 giorni, all'interessato essendo data solo la facoltà di presentare una domanda di scarcerazione. Questa distinzione si giustifica, poiché il pericolo di fuga tendenzialmente perdura, per cui un unico esame automatico è sufficiente, mentre il pericolo di collusione di massima diminuisce assai celermente, per cui un nuovo esame giudiziale dopo una certa scadenza appare sensato (Felix Bänziger/Luc Leimgruber, Das neue Engagement des Bundes in der Strafverfolgung, Kurzkommentar zur "Effizienzvorlage", Berna 2001, n. 215 all'art. 51 PP, pag. 170). 
3. 
3.1 Il ricorrente ribadisce l'insussistenza di gravi e concreti indizi a suo carico idonei a giustificare il mantenimento del carcere preventivo. 
 
Sulle premesse per la carcerazione secondo l'art. 44 PP, il Tribunale federale si è già espresso nella sentenza del 7 febbraio 2005 (consid. 2), cui, per brevità, si rinvia. Il ricorrente è detenuto dal 23 novembre 2004. L'inchiesta, come rilevato nella citata decisione, non è limitata al suo agire, ma coinvolge molti soggetti inseriti in o facenti capo a un'unica struttura criminale di tipo mafioso, per cui occorre tener conto anche delle indagini in atto contro questi altri coimputati. L'inchiesta si situa in una fase intermedia, di modo che in questo stadio se non sono sufficienti indizi vaghi, neppure può essere pretesa, come implicitamente addotto dal ricorrente, la produzione di prove definitive. 
3.2 Il procedimento penale s'inserisce nel quadro di una vasta inchiesta internazionale. Il ricorrente è sospettato di far parte di un'organizzazione criminale secondo l'art. 260ter CP, che ha operato a livello transnazionale per parecchi anni. Al ricorrente si rimprovera, in particolare, d'aver intrattenuto strette relazioni con alcuni dei principali esponenti dell'organizzazione, tra cui B.________ e A.________: con quest'ultimo egli avrebbe conversato più volte, utilizzando un linguaggio in codice usuale tra i membri dell'organizzazione, prima della compravendita di 1 kg di cocaina, a R.________, il 19 luglio 2004. Esponenti di spicco dell'organizzazione sono pure indagati nell'ambito di un'inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro sull'attività della cosiddetta "Cosca di Mesoraca". Nella decisione impugnata, la Corte dei reclami penali ha ritenuto che durante il breve periodo intercorso dall'ultima decisione, non sono emersi nuovi atti in grado di sovvertire i noti gravi indizi di reato nei confronti del ricorrente, precisando che sono tuttora in corso accertamenti e verifiche, in parte mediante rogatorie internazionali, tendenti a concretarli ulteriormente. 
3.3 La conclusione dell'istanza precedente è sostenibile. Per di più, oltre ai gravi indizi menzionati nella sentenza del 7 febbraio 2005 (consid. 2.6, 2.7 e 3), il MPC nelle sue osservazioni al ricorso ha rilevato che l'espletamento di rogatorie passive e attive comporta tempi tecnici non indifferenti. Ha inoltre precisato che sono emersi elementi probatori circa un importante traffico di sostanze stupefacenti sull'arco degli ultimi tre anni, come pure per traffico di armi verso l'Italia, dove è stato accertato il commercio illegale di oltre 200 armi e la partecipazione di rappresentanti dell'organizzazione criminale al riciclaggio di denaro in seguito al fallimento di due società zurighesi operanti negli investimenti sulle divise. 
Del resto, il ricorrente si limita a negare d'aver partecipato a tali traffici, senza precisare perché i fatti fondanti i menzionati indizi non potrebbero essere ritenuti. Egli disattende inoltre che, come pure rilevato nel precedente giudizio (consid. 2.7) di cui non ha atteso l'esito, gli si rimprovera d'aver partecipato e/o sostenuto un'organizzazione criminale autrice di vari reati e non tanto di averli commessi personalmente, ciò che è sufficiente dal profilo dell'art. 260ter CP. Il celere avanzamento dell'inchiesta dovrà nondimeno concretare ulteriormente i gravi indizi nei confronti del ricorrente. 
3.4 La Corte dei reclami penali ha nuovamente ammesso un potenziale pericolo di collusione e di inquinamento delle prove. Non sarebbe infatti escluso che, se rimesso in libertà, il ricorrente potrebbe dare istruzioni o tentare di comunicare informazioni utili ad altri soggetti implicati nell'inchiesta svizzera e in quella italiana. In tale ambito essa richiama tuttavia a sproposito la sentenza del 7 febbraio 2005. In quel giudizio il Tribunale federale aveva in effetti ritenuto che queste semplici asserzioni di principio non dimostravano ancora l'esistenza di un pericolo concreto di collusione, come richiesto dalla prassi. Aveva tuttavia ritenuto, che un concreto pericolo di collusione poteva essere ancora ravvisato nella necessità di non pregiudicare l'espletamento di rogatorie, visto che altri indagati sono in libertà, e che altri indizi concreti di collusione risultavano dai motivi esposti in un'altra decisione concernente un coimputato (consid. 3.1.3). Aveva concluso che, per il momento, la tesi della Corte dei reclami penali sull'esistenza di questo pericolo poteva pertanto ancora essere condivisa, ricordando che il teorema del MPC doveva comunque vieppiù arricchirsi d'elementi idonei a suffragarlo. 
3.5 Nelle osservazioni al ricorso, il MPC rileva che la concretezza del pericolo di collusione non potrà essere esclusa fintanto che non si sarà proceduto all'audizione e quindi al confronto con l'imputato, di "tutte" le persone con cui egli è entrato in contatto nell'ambito di traffici di stupefacenti. Come già rilevato nel precedente giudizio, altre persone sospettate di far parte dell'organizzazione criminale sono incarcerate da mesi e hanno potuto essere ripetutamente interrogate (consid. 3.1.3). Perlomeno riguardo a queste persone un confronto dovrebbe poter aver luogo, entro un termine ragionevole, anche tenuto conto delle esigenze d'inchiesta. La circostanza che altri membri dell'organizzazione siano ancora a piede libero non parrebbe d'altra parte poter giustificare, di per sé, il mantenimento del carcere preventivo del ricorrente fino al momento di un loro eventuale arresto. 
3.6 Sull'esistenza di un eventuale pericolo di fuga, il Tribunale si è esaurientemente pronunciato nella sentenza del 7 febbraio 2005 cui per brevità si rinvia (consid. 3.2), considerato che al riguardo la situazione non è sostanzialmente mutata. 
4. 
4.1 Ne segue che il ricorso dev'essere respinto in quanto ammissibile. 
4.2 Come già ricordato nel precedente giudizio (consid. 4), il Tribunale federale dispensa, a domanda, una parte che si trova nel bisogno e le cui conclusioni non sembrano dovere avere esito sfavorevole dal pagare le spese processuali. Nella fattispecie, la domanda di assistenza e di gratuito patrocinio dev'essere respinta, visto che il ricorso non aveva, sin dall'inizio, alcuna possibilità di esito positivo e il ricorrente non ha reso verosimile la sua indigenza. 
4.3 L'indigenza è data quando l'istante possa far fronte alle spese processuali e alle ripetibili solamente facendo capo al minimo vitale necessario al suo sostentamento (DTF 125 IV 161 consid. 4a e rinvio). Spetta di principio all'istante dimostrare lo stato di bisogno e allegare alla domanda i ragguagli sul reddito, sul patrimonio, sull'insieme degli oneri finanziari e sulle sue necessità attuali (DTF 125 IV 161 consid. 4). Nella precedente causa il ricorrente né aveva esposto concretamente la sua situazione finanziaria né motivato oltre la sua domanda (cfr. al riguardo sentenza 1P.659/2000 del 12 febbraio 2001, consid. 3b/bb, apparsa in RDAT II-2001, n. 56, pag. 223). Nella decisione impugnata la Corte dei reclami penali ha respinto la domanda di assistenza giudiziaria accollandogli la tassa di giustizia, perché il ricorrente ha omesso di compilare correttamente l'apposito formulario, tralasciando in particolare la rubrica riguardante i redditi. 
Nel ricorso in esame egli, richiamando l'art. 36 PP, si limita a rilevare, in maniera del tutto generica e senza produrre alcun documento, di svolgere un'attività indipendente che non gli permetterebbe di sopportare ulteriori spese. Aggiunge semplicemente che al momento non sarebbe in grado, non indicando altro motivo se non quello della sua detenzione, di meglio dimostrare la sua situazione finanziaria, rilevando che allegherà a tempo debito ogni eventuale ulteriore documento giustificativo. 
4.4 Le spese seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 OG). 
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: 
1. 
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto. 
2. 
La domanda di assistenza giudiziaria e di gratuito patrocinio è respinta. 
3. 
La tassa di giustizia di fr. 1'500.-- è posta a carico del ricorrente. 
4. 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Ministero pubblico della Confederazione e alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale. 
Losanna, 25 aprile 2005 
In nome della I Corte di diritto pubblico 
del Tribunale federale svizzero 
Il presidente: Il cancelliere: